Rompendo indugi e possibili fraintendimenti il Codice vigente ha fatto una scelta di campo definendo normativamente cosa intendere per “Crisi” e cosa intendere per “Insolvenza”.
Una scelta forte, una scelta che disegna una linea di demarcazione tra gli Istituti applicabili alle condizioni di Crisi e quelli pensati per governare le condizioni di Insolvenza.
La strategia normativa potrà risultare sgradita a chi, preferendo le linee morbide agli spigoli vivi, vorrà far leva sulla circostanza che, nella pratica, i contorni non sono sempre così netti.
La pratica ci aiuterà a capire se la scelta di distinguere i concetti ed il contenuto degli Istituti posti a presidio dell’una o dell’altra risulteranno adeguati. Almeno dal nostro punto di vista, però, risulta imboccata la giusta via nella misura in cui ci propone (stavo per dire impone) punti fermi dai quali non possiamo e non dobbiamo prescindere.
Con il presente contributo intendiamo focalizzare il concetto di “Crisi”.
Definizione di “Crisi”
Il codice definisce il termine “Crisi” all’articolo 2 comma 1 lett. a) dove per CRISI si intende: “Lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
Il miglior modo di approcciare l’interpretazione di una disposizione di legge è quello di ponderare il significato delle parole utilizzate e questo, a maggior ragione, vale quando si è al cospetto di una “definizione normativa” destinata a permeare di sé l’intera materia.
La prima cosa che balza agli occhi è che “Crisi” è “Stato del Debitore”.
Non è una singolarità la circostanza che la parola “Debitore” sia utilizzata anche per definire il concetto di “Insolvenza”.
Lo scopo ci pare ben preciso: coerentemente con il principio espresso all’articolo 1 , è il debito a rappresentare il pre-requisito oggettivo di applicazione degli Istituti codicistici.
Se non vi è debito non vi è debitore e se non vi è debitore il Codice non si applica.
Una persona potrà ritenersi e giustamente potrà essere considerata in Crisi se non ha lavoro, se non sa come procurarsi il quotidiano, come pure se non ha accesso al credito bancario che gli è necessario per avviare un progetto ma, ai fini del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, questo è del tutto irrilevante.
Ciò che conta è che vi sia debito e che vi sia un debitore ma, e qui la cosa si complica, non un debito qualunque e neppure un debitore qualunque.
E’ necessario, cioè, che si realizzi quel particolare “stato del debitore” che concretizza la “crisi”.
Una falsa contraddizione
La questione solo apparentemente può apparire banale e scontata, in realtà non lo è.
Se si riflette sul significato etimologico della parola “crisi” pare di essere di fronte ad una contraddizione in termini ma così non è.
Per scivolamento di significato la parola Crisi è socialmente associata ad un momento statico e doloroso ma secondo la sua etimologia indica qualcosa di diverso.
La parola Crisi deriva dal latino crisis come dal greco krisis è sta a significare “scelta”, “decisione”, “trasformazione”, “distinguere”, “giudicare”.
L’apparente contraddizione si scioglie nell’esatto momento in cui si abbandona la visione statica dello stato di Crisi e si abbraccia una più adeguata visione dinamica.
Solo considerando la crisi in termini dinamici, come una condizione in evoluzione, si giunge a comprendere a quale “stato del Debitore” il legislatore abbia voluto riferirsi.
Non ogni condizione di crisi del debitore è rilevante a fini codicistici ma solo quelle che “rende probabile l’insolvenza”.
Un debitore potrà essere in affanno con le proprie scadenze mensili, saltare una rata, dover fare sacrifici per onorare i propri impegni ma questo non basterà ad attrarlo nella sfera di applicazione del Codice e, di conseguenza, non ne potrà invocare l’applicazione.
Dovrà di certo compiere delle scelte, dovrà di certo attivarsi ed angustiarsi per migliorare la condizione, trasformare ed evolvere lo stato di cose ma questo non è ancora sufficiente.
Sarà necessario che, da un punto di vista dinamico, la sua condizione “rende probabile l’insolvenza”.
Ecco svelato l’arcano insito nella definizione: la condizione di crisi è un momento dinamico di trasformazione.
Se migliora è Trasformazione catartica, rigenerazione, nuova vita.
Se involve, se peggiora è insolvenza (che l’articolo 2 comma 1 lett. b) del codice definisce come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”).
L’inadeguatezza dei flussi di cassa
Tra i due estremi, si frappone quel giudizio di “probabilità” che il legislatore ha voluto rendere il meno opinabile possibile attraverso il riferimento alla “inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
L’affermazione apre un mondo perché se è vero che il codice, salvo alcune eccezioni tassativamente indicate all’articolo 1 (Art. 1 comma 2: “Sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di:
- a) amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Se la crisi o l’insolvenza di dette imprese non sono disciplinate in via esclusiva, restano applicabili anche le procedure ordinarie regolate dal presente codice;
- b) liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’articolo 293.),
si rivolge a tutti i “debitori” nessuno escluso ecco allora che ogni persona (fisica o giuridica) ed indipendentemente dalla propria condizione o dimensione, deve fare, mi si passi l’espressione poco consona ma efficace, i c.d. “conti della Serva”.
Ciascuno di noi, indipendentemente da cosa facciamo e come lo facciamo e da cosa disponiamo, siamo oggi normativamente chiamati a far conti precisi e ad assumere impegni ed obbligazioni sempre tenendo conto della nostra prospettica capacità di rimborso, mese per mese, ad almeno a 12 mesi.
La nobile casalinga dovrà oggi interrogarsi, quando accede al credito al consumo per l’acquisto di un nuovo elettrodomestico, se sarà in grado di onorare le rate. Dovrà tener conto delle sue entrate future ed agire di conseguenza per non trovarsi in condizione di probabile insolvenza. Ciò rileverà in chiave di meritevolezza dell’accesso al credito qualora vorrà beneficiare di un eventuale piano del consumatore.
Allo stesso modo, elevando i termini della questione a diverso livello, un imprenditore dovrà interrogarsi circa i flussi aziendali futuri prima di effettuare un investimento. Dovrà, quindi, valutare l’opportunità di sostenere l’iniziativa con un business plan che, solo, non gli eviterà rischi nel futuro ma che di certo lo aiuterà a monitorare l’andamento aziendale e prevenire disastri.
Insomma, le regole di prudenza si ergono a dovere quasi imposto che se violato è passibile di conseguenze.
(avv. Emanuele Daddario)
